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La doppia vita — Karolina Pavlova

Sellerio; a cura di Luciana Montagnani.

Marina Cvetaeva era ormai esule quando, nel 1923, usciva a Berlino la sua raccolta di poesie Mestiere. Da dove deriva il titolo del libro? Possiamo leggerne l’ispirazione ne Il paese dell’anima, l’epistolario curato da Serena Vitale per Adelphi:

Di che «Mestiere» si tratta? Di quello lirico, naturalmente. Significato, inquietudine e gioia dei miei giorni. K[arolina] Pavlova ha una formula straordinaria:

Tu, che neanche il sacrilegio
poté sfiorare nel tempio,
tu, mia sventura e mia ricchezza –
mio mestiere sacro!

Karolina Pavlova nacque nel 1807 e fu attiva soprattutto come poetessa e traduttrice. Figlia di un professore di origini tedesche (un’ascendenza simile a quella di Sof’ja Tolstaja, nata Behrs, la moglie dell’autore di Guerra e Pace), Pavlova ricevette un’ottima istruzione privata e animò un frequentatissimo salotto letterario tra gli anni ’30 e ’40, nel corso dei quali — culmine e declino dell’Età dell’Oro della poesia russa — fu una delle poche voci femminili a emergere. A causa di tempestose vicende familiari, all’inizio degli anni ’50 emigrò in Germania, dove morì nel 1893, dopo quasi trent’anni di silenzio artistico. La sua opera venne riscoperta nell’Età dell’Argento, agli inizi del XX secolo, dalla corrente simbolista (non solo Cvetaeva, ma anche Andrej Belyj e Valerij Brjusov). 
La doppia vita, il libro a cui è dedicato il dispaccio di oggi, è il suo unico romanzo.

la doppia vita karolina pavlova

In realtà, mi correggo subito, la definizione di romanzo non è del tutto precisa: La doppia vita si compone di dieci capitoli, ciascuno dei quali termina con un poema, una forma inusuale per la letteratura europea moderna e che si avvicina forse al prosimetro.
Al centro della narrazione ci sono le macchinazioni intorno al fidanzamento di una giovane donna di buona famiglia, com’è chiaro fin dall’incipit di gusto austeniano (a dispetto della scarsa influenza esercitata dalla scrittrice britannica sulle lettere russe):

“Sono ricchi?”
“Pare; hanno un discreto patrimonio, vivono piuttosto bene, oltre ai soliti ricevimenti del sabato, danno diversi balli. Lui personalmente si disinteressa di ogni cosa, si occupa di tutto la moglie; c’est un femme de tête.”
“E la figlia com’è?”
“Niente di particolare! Abbastanza graziosa e, dicono, non stupida; ma chi è stupido oggigiorno? Comunque, con lei non ho mai parlato d’altro che del tempo e dei balli, ma deve aver preso qualcosa del padre, del suo sangue tedesco. Non posso sopportare tutte queste tedesche e mezze tedesche.”
“È un buon partito?”
“No! Ha un fratello minore.”

Questo ritratto di Cecilija, la protagonista, non verrà smentito: allevata con ogni cura per non sviluppare mai un pensiero che sia davvero autonomo o fuori dalle rigide convenzioni dell’aristocrazia, rappresenta il paradigma della femminilità virginale. 
Si tratta di un marriage plot, quindi, e ci troviamo nella Mosca del diciannovesimo secolo, cosa che ci porta alla domanda: chi sono i pretendenti? Nella migliore tradizione, abbiamo il principe, Viktor, e il “povero” (appena benestante, invece che ricco), Dmitrij: perfetti esemplari dello stesso ambiente, che li ha modellati come corrispettivo maschile delle ragazze da marito, questi scapoli si distinguono per un’ignavia che non conosce l’inquietudine di Onegin, il fascino sulfureo di Stravrogin o la bonarietà di Pierre Bezuchov.

Sono le figure femminili che circondano la protagonista a dare prova di acume o capacità di intrigo, come la Valickaja, un sepolcro imbiancato che lavora nell’ombra per avvicinare la figlia Ol’ga, un’amica di Cecilija, a nozze che siano il più fastose possibile.
Pavlova ha sempre un tocco felicissimo nelle descrizioni, anche quando si tratta di personaggi secondari:

La principessa Anna Sergeevna, intuendo in qualche modo, Dio sa per quale rivelazione, che per essere una donna perfetta occorre aggiungere qualcos’altro alla ricchezza; disprezzando nel contempo profondamente le doti intellettuali e il talento, che le erano sempre sembrati qualcosa di plebeo; avendo perso da molti anni il suo passato elemento di superiorità – la bellezza; comprendendo ancora una volta che alla sua età non era più una gran virtù essere virtuosa, la principessa Anna Sergeevna in vecchiaia aveva deciso di essere buona. Ciò costava incredibilmente caro alla sua natura egoista, ma ella aveva perseverato e in effetti alla fine si era conquistata la fama di essere buona fino all’impossibile.

A differenza del disprezzo manifesto di Gustave Flaubert per Emma Bovary, l’ironia di Karolina Pavlova non impedisce al testo uno slancio di immaginazione in anticipo sui tempi. L’inconscio di Cecilija è più sottile della sua intelligenza mutilata e riesce a percepire, sebbene in maniera confusa, il tradimento di cui è oggetto: il poema che conclude ogni capitolo trasporta la giovane in un’atmosfera onirica in cui c’è qualcosa che si dibatte per essere ascoltato. Cecilija gli presta orecchio, senza riuscire a coglierne il significato; chi legge La doppia vita è in grado di decifrarlo: è la voce della consapevolezza di sé, soffocata da un’educazione mirata a mantenere il suo animo puro e calpestabile.

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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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